Della "fine del mondo" o della fine di un mondo ingiusto?

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Dalle biblioteche/ escono i massacratori/stringendo a sé i figli/stanno le madri, e guardano impaurite/nel cielo le scoperte dei sapienti” cantava Brecht... Mi torna in mente ancora, spesso anche nel vedere la ricerca umiliata anche da noi scienziati, e piegata a scopi che non sono quelli di chi la fa, in perfetta osservanza delle leggi dell’alienazione del lavoro, leggi davvero “di ferro”....

Mi tornavano in mente quei versi mercoledì sera, mentre ero bloccata a viale Giulio Cesare (dove ero dovuta andare per necessità) in un caos improvviso e imprevisto del traffico vicino a S. Pietro sotto la pioggia (ed ero molto in difficoltà, con una gamba dolorante appoggiata spasmodicamente alla stampella).

Mi tornavano in mente quei versi alle sirene dei vigili con una vaga inquietudine, finchè non sono venuta a sapere dai passanti che non si trattava di un temuto evento drammatico, ma anzi della fumata bianca appena uscita. Mentre cercavo di resistere in piedi sotto la pioggia in attesa di un improbabile autobus (abbiamo una amministrazione capitolina che blocca tutto anche per molto meno del Papa, anche solo per maltempo, ecc…) dei ragazzi mi urlavano passando di corsa “il Papa è nero!” (sic, e nessuno sapeva ancora chi fosse).

Naturalmente in seguito quell’urlo mi è tornato sinistramente in mente assieme con gli inquietanti, insopportabilmente angosciosi interrogativi che mi ponevano le ipotesi - vere o no - che circolavano subito sul web sui rapporti fra il nuovo Papa con Videla ecc. (poi debitamente smentite niente po' po' di meno che da un Premio Nobel per la pace, Adolfo Perez Esquivel).

Tuttavia, contrariamente a questo (oppure nonostante questo) mi sembra ora come farsi finalmente strada ufficialmente l’idea che il cambiamento oggi non venga più dall’Est d'Europa (il Papa Giovanni Paolo II “venuto da un paese lontano”), ma provenga proprio dall’Occidente, con il Papa Francesco venuto dal Sudamerica, dalla “fine del mondo” come lui stesso ha detto presentandosi ai fedeli in festosa attesa. Con esso, il ritorno alla “Chiesa delle origini”, liberata da ogni complicità o compromissione con il potere, restituita alla sua originaria e autentica missione di portare “ai prigionieri la liberazione” e di “innalzare i poveri”.

Quante volte abbiamo detto che la “fine del mondo”, la “fine della storia” altro non è che un'espressione ingannevole di un mondo ingiusto che eternizza se stesso, che si pone come l'unico mondo possibile, e odia qualunque cambiamento, qualunque rinnovamento.

Scopriamo, allora, che l' “impero del male” non si esprime tanto e solo nelle oppressioni dei lavoratori nei cantieri navali di Danzica, ovvero nel contesto politico-economico dittatoriale dell'Est Europa assoggettato all'URSS col quale la nostra “libera società” presumeva di non aver nulla da spartire.
Senza la presunzione storica che il male fosse solo oltrecortina (nelle “vite degli altri”), al contrario scopriamo che esso si esprime ormai - dando il peggio di sè - nelle discariche e nella miseria e nell’abbandono del Terzo Mondo, nonché nei vari garage Olimpo, negli stadi e nelle miniere abbandonate del Cile, nelle prigioni, con i colpi di stato, nelle torture e gli assassini di massa, negli aerei della morte, nei bambini rubati ai genitori, nelle guerre e nei bombardamenti e nella disperazione prodotti dallo sfruttamento e dall’avidità della nostra cosiddetta “civiltà”. Ed ancora nella disuguaglianza, nei diritti calpestati, nella fame e negli abusi e nelle violazioni della dignità umana…

Scopriamo che la vera cortina di ferro, il muro che deve cadere non era tanto (o solo) a Berlino, ma soprattutto è là, dove più evidenti sono gli effetti e la ferocia dello sfruttamento dell'uomo sull’uomo. Là dove non a caso i popoli sono la primavera del mondo. Il cambiamento dunque non si limita alla dissoluzione della divisione del mondo in due blocchi e allo strapotere successivo di un blocco solo, ma bensì al superamento di entrambi, e una nuova era può iniziare solo se al posto della “guerra fredda” (che limitava le nefandezze delle due potenze solo a causa della presenza minacciosa dell’altro impero) si giunge davvero alla pace, che implica anche il crollo dell'altro impero.

In quest'ottica comprendo non solo l'invito alla fratellanza universale, il senso di comunione col popolo di Papa Bergoglio, ma anche una sua frase che ho letto per caso – quasi a rispondere ai miei angosciosi dubbi - “colui che isola la propria coscienza dal cammino del popolo di Dio non conosce l'allegria dello Spirito Santo che sostiene la speranza”.

Se davvero si trattasse di questo, se davvero cioè la rinuncia di Benedetto XVI doveva aprire la strada a questo, se davvero già Giovanni Paolo II sembrava aver intuito questo limite della modernità occidentale, l'egoismo, il relativismo, il culto del denaro e dell'apparenza, l'individualismo, l'edonismo... se così fosse, allora sarebbe davvero vicina una speranza di giustizia per il mondo.