I se esistenziali, i social e il bus dal quale non si può scendere

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"Nel passato abbiamo vissuto nelle caverne, nel futuro vivremo su internet" afferma (più o meno) Justin Timberlake, nel ruolo di Sean Parker nel film "The Social Network". Non so se sia una battuta ideata dagli sceneggiatori e autori del lungometraggio o se sia ispirata ad un aforisma reale. Penso, però, sia azzeccata. E non é affatto consolante.

Se abbiamo bisogno della foto di un bimbo (che Dio benedica lui e tutti i bimbi, da Occidente ad Oriente, dal Settentrione al Meridione) per risvegliare la "pietas humana"...
Se una figlia cui hanno ucciso i genitori, dopo nemmeno 24 ore dall'accaduto, ha bisogno di arruffare il popolo in tv...
Se abbiamo bisogno di video e post sui social per ricordarci che l'essere umano é capace anche di gesti alti e nobili...
Se abbiamo bisogno di nasconderci dietro un avatar per mascherare il senso di solitudine o, meglio, se il "social network" e l'avatar divengono la miglior compagnia possibile...
Se l'affermazione della propria personalità diviene l'alibi per esaltare l' "ignoranza dei costumi" o il pretesto per alimentare smaccatamente il proprio egocentrismo...
Se un "Like" conta piú dell'apprendere dai migliori o se, per la ricompensa di un "Like", dimentichiamo ciò che siamo...
Se abbiamo bisogno di un "vada a bordo cazzo!" per rammentarci di far bene il nostro dovere (e, per dirla col Cristo di Guareschi, se ognuno facesse bene il proprio dovere, i diritti di tutti sarebbero soddisfatti)...
Se, infine, mi trovo (ahimé, per dirla con l'Alighieri) sempre piú a riconoscere che Goebbels era un vate della propaganda...

Se tutto questo ed altro ancora... Beh... Mi verrebbe da affermare: "Cortesemente, fermereste il mondo? Vorrei scendere". Mi accorgo, però, che per tutto ciò, scendere non si può (nessuno può): sarebbe, anch'esso, un ottimo alibi.

E sulle ali di questi pensieri, continua questo caldo e soleggiato venerdí di inizio settembre.