L'aggressività e le sue dinamiche di gruppo

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Con il termine aggressività si indica una “tendenza che può essere presente in ogni comportamento e in ogni fantasia volta all’etero- o all’autodistruzione, oppure all’autoaffermazione”. Considerato che l'aggressiva può avere cause, manifestazioni e conseguenze molto varie, non sorprende che essa sia stato oggetto di studio nei più svariati campi di ricerca: biologico, psicologico, psichiatrico, forense, sociale, etico, con attributi e caratteristiche peculiari per ognuno dei vari approcci.

L'ipotesi dell'aggressività come reazione alla frustrazione, già avanzata da Freud, fu ripresa successivamente da vari autori della corrente comportamentista tra i quali J. Dollard, L.W. Doob, N.E. Miller, O.H. Mowrer. Gli etologi, con Konrad Lorenz in testa, hanno in qualche modo confermato l’ipotesi di Freud.

Tra i primi seguaci del movimento psicoanalitico dissidenti da Freud la posizione di Alfred Adler è particolarmente interessante, poiché presenta alcune convergenze con le posizioni dell’etologia. Adler fin dal 1908 aveva avanzato l’ipotesi che l’aggressività fosse una pulsione innata e primaria, ma nella sua concezione non si tratta di una pulsione di morte e di distruzione, come sosteneva Freud, bensì di una tendenza volta a dominare la realtà.

Una posizione simile è stata assunta dallo psicanalista tedesco Gunter Ammon, autore del libro “La dinamica di gruppo dell’aggressività. Egli non accetta la concezione freudiana, e distingue anch’egli tra una aggressività adattiva e una distruttiva. Nel primo caso si tratta di un ad-gredi, potenzialità necessaria per uno sviluppo dell’Io, che diventa veicolo per l’attività creativa, al servizio dell’amore per la vita. Quest’aggressività sana che serve all’autoaffermazione si trasforma in distruttività solo quando entra in conflitto con l’atteggiamento repressivo dei genitori. La frustrazione precoce e continua pone le basi per la trasformazione della normale forza dell’ad-gredi nella distruttività.

È su questi concetti che voglio qui concentrarmi.

Il bambino, sin dalle prime esperienze è costretto a prendere coscienza che le sue possibilità di realizzazione non sono illimitate; le prime esperienze di frustrazione, i primi ostacoli gli fanno comprendere che non tutto dipende da lui, che il suo desiderio di espandersi non può essere incondizionato, in quanto trova un limite nella corrispettiva esigenza di chi gli sta di fronte. L’inibizione dell’aggressività costituisce una regolazione senza la quale non sarebbe possibile la convivenza sociale: un autocontrollo a livello comportamentale è sempre necessario. Frenare l’aggressività favorisce la società.

Il vivere sociale, di fatto, permette una convivenza meno pericolosa e problematica per tutti, favorisce l’emergere di una etica di specie alla quale si ispira il genere umano (i sentimenti di umanità, di universalità, di appartenenza..), l’elaborazione di alcuni valori generali condivisi (i diritti umani, la cooperazione e solidarietà internazionale..), lo sviluppo delle scienze del pensiero e della creatività scientifica ed artistica come massime espressione della propria specificità. La persona sviluppa legami ed identificazioni anche a livello sociale, che vengono per lui a costituire un importante punto di riferimento, una vera e propria identità. La mancanza di questa o la sua perdita improvvisa, quale ad esempio l’immigrazione o l’urbanizzazione forzate, l’imposizione di certi modelli di comportamento diffusi dai mezzi di comunicazione di massa provocano, con lo stesso meccanismo che si applica per l’identità individuale, reazioni aggressive anche fortemente distruttive, che non hanno più per l’individuo alcun valore adattivo.

Le modificazioni psichiche che intervengono con l’incivilimento sono invece vistose e per nulla equivoche. Esse consistono in uno spostamento progressivo delle mete pulsionali e in una restrizione dei moti pulsionali. Sensazioni che per i nostri progenitori erano cariche di piacere, sono diventate per noi indifferenti o addirittura intollerabili; esistono fondamenti organici del fatto che le nostre esigenze ideali, sia etiche che estetiche, sono mutate. Dei caratteri psicologici della civiltà, due sembrano i più importanti: il rafforzamento dell’intelletto, che comincia a dominare la vita pulsionale, e l’interiorizzazione dell’aggressività, con tutti i vantaggi e i pericoli che ne conseguono.

Lo sviluppo della società e della convivenza civile hanno infatti, portato l’uomo a controllare le parti più estreme ed impulsive della propria aggressività, che è servita d’altro canto a conquistare e a difendere quelle finalità che gli sono connaturate e delle quali non può fare a meno.

Spetta a Fromm il merito di aver individuato e posto in risalto l’importanza che la società riveste nell’aiutare l’uomo nel suo amore per la vita, oppure nello stimolare la sua necrofilia. Più pericolosa ancora dell’invenzioni delle armi è la capacità che l’uomo ha di “degradare” l’avversario e vedere la sua eventuale uccisione (anche figurata) non solo come riprovevole e malvagia, ma addirittura doverosa, in quanto si tratterebbe di eliminare un mostro nocivo all’interno della società.

Ammon afferma che l’aggressività distruttiva si può spiegare come una patologia psichica, ma anche sociale, e sostiene che il gruppo se si emancipa dalla aggressività distruttiva, può offrire al singolo la possibilità di liberarsi, di crescere e di comunicare in modo sano e maturo con altri individui e in una società così trasformabile.

È l’insicurezza di base che fa diventare l’aggressività patologica. Solo nel caso di una scarsa identità, frutto di frustrazioni precoci ed eccessive e di gravi limitazioni allo sviluppo, l’aggressività diventa inutile e dannosa violenza. Essa viene allora certamente negata, per i sensi di colpa e la paura che genera, e proiettata su altri; ma si tratta di meccanismi psicotici che a livello adulto sono utilizzati solo quando il senso della propria identità è inesistente o vacillante.