Rielezione di Giorgio Napolitano: storia di una sconfitta annunciata della politica

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Ed anche “Re Giorgio” lo sa

Oggi, nella maggiore espressione della democrazia italiana, l'Assemblea dei Grandi Elettori per l'elezione del Presidente della Repubblica, si è consumata una tragica soluzione che è sicuramente la maggiore sconfitta della politica fatta da queste forze partitiche e dai movimenti presenti in Parlamento.

Sul Partito Democratico inutile scrivere, è sotto gli occhi di tutti: fa quasi tristezza ed infierire mi sembra come sparare sulla Croce Rossa.

Anche il Popolo delle Libertà, però, non ne fa una migliore figura, per motivi quasi antitetici a quelli del Partito Democratico ma che conducono, alla fine, all'altra faccia della stessa medaglia: la volontà di ricercare il mantenimento dello status quo tanto all'esterno quanto all'interno, nella totale incapacità di rigenerare la propria classe dirigente quanto quella della più alta carica dello Stato accompagnata dalla totale sordità verso quella voce di rinnovamento e di cambiamento che anche nelle fila del centrodestra si era palesata, almeno fino a Dicembre 2012. A proposito, per celia e sdrammatizzare le quattro righe finora scritte, Berlusconi deve avere profonda avversione verso i comunisti, se costringe quello che forse è il Grande Vecchio del PCI rimasto nell'agone politico a dover continuare a lavorare ad 88 anni suonati...

Infine, non credo che il Movimento 5 Stelle abbia fatto una migliore figura. Se si fosse deciso a dar corso veramente alla tanto millantata ricerca di cambiamento, formando (anche con riserve, se del caso) un Governo di cambiamento quando gli è stato proposto, oggi avremmo una storia diversa, un Governo forte e forse anche Stefano Rodotà al Quirinale. Invece hanno condotto un disegno meramente di tornaconto elettorale, per fomentare la piazza, perdendo di vista l'Italia reale fatta anche, evidentemente, dei ritardi delle Ferrovie dello Stato, che hanno portato alla vittoria la gerontocrazia politica su quella “manifestaiola”.

Come se ne esce? Semplice: attraverso una maggiore partecipazione di tutti, prendendo nota del cambiamento dei tempi e soprattutto creando una nuova classe dirigente su base di competenza, meritocrazia, responsabilità e capacità di ascoltare i bisogni della gente e dar risposte progettuali di lungo respiro, pensando a questa generazione così come alle future, e non alla prossima elezione. E non solo, evidentemente, nel Partito Democratico...