Quirinale rewind...

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Non mi soffermo a rifare l’analisi di ciò che è stato, perché per forma e formazione ritengo di essere proteso sempre avanti. Con questo non liquido “sic et simpliciter” tutte le difficoltà che sono emerse in questi 60 giorni, ma sul come si è arrivati allo stato dell’arte credo si siano spese sufficienti parole, pari solo all’insufficienza delle soluzioni messe in atto.

Mi soffermerò invece brevemente sul fenomeno che ci sta attanagliando: il web, la piazza, il Parlamento. Sgombro innanzi tutto lo scritto da ogni dubbio, sono un democratico che crede nelle istituzioni, che crede nel valore assoluto che esse hanno e che chiede per le stesse il rispetto dovuto.

Detto questo, presto fatta la sintesi: non mi piace quanto è accaduto dentro, poiché sono convinto che una maggiore responsabilità dei nostri eletti avrebbe risparmiato la richiamata in campo dell’uscente oggi nuovo Presidente della Repubblica. Tuttavia non apprezzo la moda che vorrebbe portare al di fuori delle regole precostituite le scelte che concernono la forma e la struttura delle istituzioni. Poco apprezzo chi usa la piazza pensando di porsi al di sopra delle istituzioni, della Costituzione, della legge dello Stato.

Non apprezzo perché credo sia rischioso giocare con i fondamenti democratici e, seppur nel rispetto del diritto di protesta, mi piacerebbe da parte di tutti un maggior senso dello Stato, una maggior responsabilità nelle esternazioni, nell’uso degli umori di piazza che sono sempre rischiosi e non controllabili come qualcuno crede.

Un episodio su tutti mi ha costernato, ed è stato vedere un nostro parlamentare aggredito, per grazia solo verbalmente, in maniera volgare e scomposta, solo perché ha un idea diversa da coloro che stavano manifestando. Mi son chiesto, se in mezzo a quegli sberleffi, visto il clima, ci fosse stato uno squilibrato cosa avremmo commentato dopo.

Sono democratico e come tale credo che ogni opinione vada espressa, che il dissenso è parte della dialettica democratica. Tuttavia non possiamo delegare il pensiero comune alla volgarità, al dileggio, alle parole ad effetto quali “arrendetevi”. Non è la guerra, caro Grillo, è il percorso democratico e ha i suoi meccanismi che per quanto brutti mi sento di difendere ad oltranza, poiché sono gli stessi meccanismi che hanno consentito a te di dissentire e di avere una pingue compagine all’interno del Parlamento. Quella presenza che la vittoria di un pensiero unico ed univoco non avrebbe sicuramente permesso, e che questa democrazia, per quanto distorta, invece ancora consente.

Non possiamo delegarlo neanche alla autoreferenza di leader piccoli, medi e grandi, di partiti che pensano di disporre della macchina istituzionale a proprio piacimento, magari per definire guerre di bande interne ai vari schieramenti. Sì, non è solo Grillo l’anomalia e credo sia ormai chiaro a tutti, l’anomalia è un’intera classe dirigente che ha bisogno di un grande bagno di umiltà, riconquistando per sé la reale funzione di rappresentanti del popolo e non di piccoli aristocratici di partito che governano le povere menti al di fuori della casta.

La sfida è immane, e fa bene Napolitano quando quasi con “rabbia” chiede di non autoassolversi con gli applausi a lui, ricordando loro responsabilità e negligenze. Da queste, le responsabilità e le negligenze, bisogna ripartire e iniziare un percorso virtuoso non di rattoppi, ma di reale rinnovamento di un intera classe dirigente, di un Paese. Il tutto nel rispetto delle regole vigenti, della Costituzione, delle istituzioni e non su pseudo parlamentini virtuali, di piazza o di condominio. L’onore e l’onere del governo della cosa pubblica è cosa seria e gravosa, che richiede giusta competenza e non dilettantistica improvvisazione.