Quando l'Italia decise per il monocameralismo

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È fatta. La riforma della Costituzione Italiana è – praticamente – legge. Dico praticamente perchè non sarà certo la Camera, dove Renzi può contare su un PD a maggioranza sicura e fidata, a sovvertire il disegno di legge, né tantomeno sarà il Senato in seconda lettura a smentire se stesso, né, infine, sarà il risultato di un referendum costituzionale a bocciare l'annullamento del bicameralismo perfetto, in un'Italia in cui Facebook ha alimentato a dismisura il “ben della parola” a danno del “ben dell'intelletto”.

Viene quindi abolito il Senato, così come lo conosciamo oggi: nemmeno Caio Giulio Cesare, nell'assumere il ruolo di dictator nell'antica Roma, era riuscito a raggiungere cotanto risultato. Certo, una riforma costituzionale così fatta sembra strana, perchè – a dire il vero – essa è semplicemente constata in un taglio netto, da bicameralismo a monocameralismo: insomma, come chi si taglia una gamba sic et simpliciter, senza dotarsi dell'ausilio di un bastone per contrappeso.

Sia chiaro: non sono contrario alle “riforme epocali dettate dai tempi mutati”. Non riesco a capire, però, perchè i tempi mutati debbano dettare delle riforme che epocali non sono. Due dubbi, come esempio:

  1. chi eleggerà il Presidente della Repubblica? La sola Camera dei Deputati, con l'abnorme premio di maggioranza che sta venendo fuori dall'Italicum?

  2. chi surrogherà il Presidente della Repubblica in sua assenza? Sempre il Presidente della Camera dei Deputati?

Insomma, volete dirmi che siamo di fronte alla dittatura della maggioranza? Nemmeno la tanto vituperata Democrazia Cristiana con la famigerata “legge truffa” era giunta a tanto...

Ribadisco: non sono contrario alle riforme. D'accordo che una maggioranza debba governare e che, alla fine, per governare la politica debba decidere e che per deliberare servano numeri da maggioranza e non ricatti di minoranza. Rifletto, però, su quanta distanza ci sia fra il dovere di governare ed il diritto ad essere tutelati.

Non mi si taccia di volontà di “dittatura della minoranza”; penso solo che, in una democrazia compiuta, il “governo della maggioranza” non può prescindere dalla tutela di ogni singola persona.

Se, poi, il primo beneficio che si esalta da questa riforma consiste nel risparmio in termini di denaro sonante (si parla di circa 50 milioni, sui 500 di spesa globale di Palazzo Madama) che si ha dall'abolizione del Senato, beh, permettetemi di scrivere che un ben maggiore risparmio si sarebbe potuto ottenere dalla riforma degli enti locali, le Regioni in primis… e soprattutto, permettetemi di pensare che non si fanno le riforme costituzionali per mettere (male) una (cattiva) toppa allo scialacquo inusitato di soldi pubblici e che, così facendo, per l'ennesima volta le decisioni politiche vengono prese su conteggi di ragioneria (il che equivale a dire che, per l'ennesima volta, la Politica ha lasciato il posto alla Finanza).

Di questa riforma, ne parleranno i libri di storia. Su di essi troveremo che, mentre al tavolo della prima Costituzione della Repubblica Italiana si sedettero La Pira, De Gasperi, Nenni, Togliatti, De Nicola, Parri, La Malfa, Pella, Calamandrei, Croce, Fanfani, Moro, Terracini, Zaccagnini (i principali che ricordo), questa riforma – che di fatto costruisce una seconda Costituzione – ha il volto di Maria Elena Boschi e viene fuori dall'accordo fra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, nel cosiddetto “Patto del Nazareno”. E speriamo che il Nazareno, quello vero a cui è dedicata la via nel cuore del centro storico di Roma, ce la mandi buona.