Federalismo e energia. Il paradosso della Basilicata, che può diventare più ricca della Lombardia

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Voglio riproporre qui un articolo già pubblicato su BlitzQuotidiano.it da Fedora Quattrocchi. Nonostante il tempo trascorso, ritengo sia ancora molto attuale per le tematiche di cui tratta.

Per produrre energia da centrali di grande potenza,  da 1000 MW in su, bastano pochi ettari, siano esse a carbone pulito o nucleare; inoltre sono necessari acqua per raffreddare i sistemi e siti di stoccaggio geologico di CO2 per evitarne le emissioni. Infine, ovviamente, le materie prime, carbone o uranio.

Posto che le centrali nucleari sono praticamente del tutto assenti da tutto il territorio nazionale, il focus è su quelle a carbone. In questo caso, i requisiti di spazio, acqua e grandi siti stoccaggio geologico di CO2 si riscontrano soprattutto in Basilicata, mentre se ne registra praticamente l’assenza in Lombardia.

La Lombardia è invece ricca di agglomerati urbani a poca distanza tra loro e di piccole aziende, che costituiscono una fitta rete in tutto il suo territorio, i cui edifici saranno difficili da smantellare anche nella deprecata ma tutt’altro che remota ipotesi che avranno dovuto chiudere, nel giro dei prossimi 20-30 anni, a causa della concorrenza sleale della Cina. La Basilicata invece, oltre alle caratteristiche enunciate prima, ha anche un doppio sbocco a mare, il  che garantisce acqua in abbondanza, almeno in teoria per 4-5 blocchi da 1000 MW nuovi “coast to coast”.

In Lombardia, al contrario, a causa della portata e del livello decrescenti del Po e del suolo densamente popolato e cementificato,  non sarebbe possibile installare, al massimo, che 1000 MW nuovi, con tutte le difficoltà che si può immaginare deriverebbero dai timori delle popolazioni, fondati o meno, ma certamente sfruttati a fini elettorali. Per non parlare della impossibilità, nell’entroterra padano, di “neanche concepire” un sito di stoccaggio di un gas naturale come la CO2 nel sottosuolo, di pari passo con la impossibilita di stoccare gas naturale-metano, a causa del noto principio, populista ma efficace, del NUMBY (Not Under My Backyard, non sotto il mio giardino).

Così viene impedito che le poche strutture geologiche profonde siano utilizzate per stoccaggio, forse col pensiero neppur tanto recondito di stoccare la CO2 di produzione lombarda nel napoletano, come spesso è avvenuto per i rifiuti speciali.

Quindi il mantra della Padania sarà: no carbone, no nucleare, parola di Zaia. Resterà insoluto il problema di come alimentare di energia le aziende e aziendine che fanno la ricchezza della regione e dell’Italia, come resterà irrisolto il problema dei rifiuti nucleari delle cure ospadaliere di una popolazione.

Cosa sarà della Padania tra 30 anni? Non sembra tanto uno scenario da fantascienza quello di anziani al lume di candela, sottoposti a un sistema curativo diagnostico arretrato di decenni, perché sarà impossibile sottoporli a radiografia o scanner, per non produrre scorie nucleari.

La Lombardia potrebbe fare ricorso alle energie rinnovabili, ma anche in questo caso la Basilicata sarà avvantaggiata perché, come le altre regioni del Sud, essa ha un potenziale molto maggiore del Nord Italia per la geotermia a media e bassa entalpia per la produzione elettrica e termica rispettivamente. I vulcani e le faglie calde” sono al Sud, non in Padania.

E qui si arriva al nodo del paradosso lucano. Il quantitativo di energia da fonti rinnovabili da raggiungere dovrebbe essere una percentuale dei consumi finali dell’anno 2020: per l’Italia nel suo insieme ora è pari al 17 %, ma con il federalismo in vigore lo stesso principio dovrebbe valere specificamente anche per Lombardia e Basilicata. Ciascuno Stato / Regione dovrà elaborare e indicare il percorso, definito da un modello fisico, che permetta di realizzare l’obiettivo del 20-20-20 europeo nei settori specifici delle fonti rinnovabili: settore elettrico, settore termico (riscaldamento e raffreddamento) e trasporti.

Ecco che la differenza tra Lombardia e Basilicata qui può diventare abissale: servono enormi spazi per produrre solo 2000 MW con eolico: ogni pala genera solo 2 MW e non è neanche possibile sperare nelle pale offshore (fuori costa).

Il Piano Energetico Nazionale, peraltro ora inesistente, dovrebbe divenire Piano Energetico Regionale, con il federalismo, non sulla carta come ora, ma operativo, sostenibile ed “autarchico”: chi produce energia produce lavoro e, certo, può anche cedere energia a chi ne abbia più bisogno, ma a questo punto il modello federale porta con sé l’apertura di un mercato che può avere conseguenze pesanti per chi abbia disperato bisogno di un bene scarso come sarà in quel momento l’energia.

Quel che è successo negli Usa prima della recessione tra stati ricchi di industria e stati poveri ma ricchi di surplus energetici è il classico, biblico muro su cui è già scritto il destino. Una piccola ricerca su Google può rinfrescare la memoria.

Anche a Zaia. E a Bossi (nonchè a Maroni, aggiungo io oggi, N.d.R.).