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Da ragazzino (tratto da «Scritti dell'anno inutile»)

Da ragazzino immaginavo che a stipendio corrispondesse lavoro, fisico o mentale non importava, ma corrispondenza doveva esserci. Poi col tempo capii che non era sempre così. A parità di lavoro corrispondevano stipendi e prerogative differenti.

Il sindacato mi sembrava la risposta giusta, per mettere le cose in maniera equa tra i lavoratori, pensando che la controparte, quella datoriale, fosse essa la causa delle discriminazioni. Capii che la controparte, a volte, semplicemente usava le nostre divisioni tra lavoratori per trarre vantaggio laddove poteva, magari alimentandole. Continuai a credere che insieme si poteva rivoluzionare il sistema. Mi sbagliai. Amaramente spesso mi sbagliai.

Quasi ognuno tira per se stesso e invoca l'unione solo quando i propri interessi vengono lesi.

Kierkegaard aveva ragione nel sostenere che da Gesù in poi la domanda delle domande non era più la socratica "sai o non sai qualcosa" ma "credi o non credi".

Non credo. Io sono tra quelli che non crede. La "classe operaia" è un mio costrutto mentale, una mia illusione poetica, romantica visione di una cartolina che illustra un sole che nasce dal mare e raggiunge apogei di cui tutti godono i benefici raggi caldi e rassicuranti. Non siamo "classe operaia" da parecchio e forse, noi italiani, non lo siamo mai stati. Abbiamo altri obiettivi, perigei rispetto alle orbite sociali complessive, vivamente attaccati ai nostri interessi temporanei e individualistici. Vogliamo la "casa di proprietà", vogliamo "beni di lusso", vogliamo il "diritto di consumare come gli altri, anzi di più".

Siamo consumatori. Cittadini non lo siamo quasi mai.

Siamo miseramente "gente", con tutte le accezioni negative che "gente" può significare.

Gente che consuma... e con questa misera visione del mondo azzanniamo tutto l'azzannabile, fregandocene bellamente dei beni comuni, dei diritti degli altri, degli interessi generali a partire dai diritti negati ai più deboli.

I più deboli tra noi (intesi come lavoratori), sono quelli che hanno una qualche patologia che rischia di metterli fuori dal mercato del lavoro, sono quelli che hanno più figli disoccupati e devono reggere un fardello più pesante, sono quelli che vivono situazioni familiari disagiate.

Mi sentirei più a mio agio a parlare e magari contribuire a risolvere qualcosa per qualcuno che si ritrova in una delle categorie sopra descritte. Mi piacerebbe parlare dei diritti delle persone e non difendere acriticamente e in maniera smaccatamente falsa i privilegi di pochi. Mi piacerebbe che la meritocrazia andasse avanti come leva positiva per rapportarsi sul lavoro.

Sto a disagio, mi rendo conto di essere stato leso nel mio diritto più intimo, quello di non vedere un futuro roseo per i miei figli, per i nostri figli, e di dover invece battermi per lo status quo di altri, mio compreso, status quo fatto talvolta di qualche privilegio residuale ottenuto da qualche sindacato corporativista e compiacente.

Oggi, essere un lavoratore dipendente a tempo indeterminato, per i giovani, è una chimera.

Non sopporto chi non tiene conto di questa differenza di trattamento tra noi lavoratori a tempo indeterminato ed i nostri giovani che vivono come "normale" il lavoro precario. In futuro continuerò ad occuparmi dei precari, dei giovani, nuovi disabili sociali, in questa società che abbiamo fatto noi, e che li vede ancora largamente esclusi. La battaglia che deve essere fatta è quella del lavoro ai giovani e dell'assistenza agli anziani.

Aggiungerei la condizione femminile nel lavoro, ancora largamente arretrata rispetto ai maschi che riescono ad essere ancora massimamente avanti nelle carriere, in maniera spesso immeritata.

Il dramma vero è questo. Crisi di sistema. Uso questa affermazione gramsciana per definire l'attuale stato sociale.

Un passo avanti nel senso della giustizia sociale lo faremo (come lavoratori e come cittadini) quando porremo al centro delle nostre rivendicazioni ed azioni sociali collettive, la lotta per il lavoro ai giovani e maggiore assistenza e attenzione per gli anziani, che per noi, nel passato, si sono spaccati la schiena.

Forse ai giovani ed agli anziani, non abbiamo prestato particolare attenzione. Forse è il caso di porvi rimedio.

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